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Il 9 che diventò leggenda, quanto era forte Bonimba

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Che Roberto Boninsegna non amasse il pari in un campo di calcio è scritto nei numeri, 13-11-1943 la data di nascita, 9 la sua maglia, 19 rigori consecutivi, 3 scudetti, una sola squadra del cuore. Doveva vincere nella Grande Inter ma Herrera lo sentiva acerbo e lo spedì tra Varese e Potenza dove lui rifilò frutti maturi a tanti portieri. Tre anni a Cagliari, Riva come un fratello, e quando uno dei due doveva esser ceduto per far cassa, Gigi non ne volle sapere e Roberto: “Vado via solo se torno all’Inter”.

Sette anni nerazzurri, nel ’71 scudetto con la formidabile rimonta sul Milan, 46 gol in 56 partite dal ’70 al ’72, unico in Italia, segnava di sinistro, destro, acrobazia, testa, astuzia, il più bello a San Siro in rovesciata al Foggia il 2 maggio ’71, i più importanti con l’Italia all’Azteca contro Germania e Brasile. Classe e coraggio, diventò Bonimba, cosi volle la penna di Gianni Brera.


Fino al tradimento di Giuda, a 33 anni. “Presidente, alla Juve ci andrà lei”, fu costretto a Torino ma incrociò due anni d’oro e alla sua Inter rifilò due sberle di rabbia. “Una ferita ma lo dico sempre, tutto passa, l’Inter è la squadra del mio cuore”.
A Mexico ’70 fu protagonista, nonostante Ferruccio Valcareggi. Il ct che lo convocò in extremis per l’infortunio a Anastasi, un giorno a cena, a chi sottolineava la fortuna di avere avuto Boninsegna nella Nazionale sconfitta solo dal Brasile di Pelé, rispose “magari con Anastasi si vinceva la finale”. Bonimba si alzò da tavola e se ne andò.

Così quando alcuni giorni fa ho chiamato a casa Boninsegna, il nome Ferruccio non evocava proprio simpatia. Bonimba campione anche d’umanità, ora sa che ha il suono dei ricordi di un bambino, lui che da bambino non aveva paura mai, nemmeno del buio. Nel giorno dei suoi 80 anni, il regalo l’ha fatto lui.

Era un idolo nazionale quando a casa mia la radio era la magica filodiffusione, che la domenica donava la voce “dallo studio Roberto Bortoluzzi” e ogni venerdì alle 13 l’attesissima hit parade di Lelio Luttazzi. Il 20 ottobre del ’71 era un mercoledì da Campioni quando il dottor Dario, medico dall’alba al tramonto, sbucò col camice bianco in cucina, per chiedermi il risultato: “Papà ha pareggiato Boninsegna!”. Mi sorrise e tornò nel suo studio, restai a ascoltare la radio e lui il cuore dei pazienti.

Borussia Monchengladbach-Inter fini 7-1 ma fu un set dolcissimo, partita della lattina che colpì Bonimba, il match ripetuto (0-0) e la Beneamata arrivò in finale.
Nel ’71 avevo 6 anni e già molti ricordi. La voce del compianto Alfredo Pigna e la sigla della Domenica Sportiva di Piero Umiliani, mai fu più bella, colonna sonora di un tempo in bianco e nero, eppur cosi colorato.
Ferruccio

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