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Era Franco Battiato, il proletario dello spirito

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E’ nato alla fine della guerra, 23 marzo 1945. Il pensiero mistico, rivolto a Oriente. Compositore, pittore, filosofo, regista, nella sua esperienza terrena Franco Battiato non si è fatto mancare ispirazione e stili, guidato dal principio che la musica può aprire il cuore. Il 18 maggio l’autore siciliano se ne è andato, nel buen retiro di Milo sull’Etna, mille anime tra il mare e il vulcano. Aveva 76 anni, era figlio di pescatori.
La sua vita colta e intensa è raccontata in queste ore in tutte le salse, interessante come sia stata segnata dal suo rapporto con lo spirito: “Non c’è una morte reale, perché la nostra natura innata è al di là del tempo”.
Uno spirito religioso ma senza parrocchia, quello di Battiato: “La fede non significa niente, bisogna avere esperienza diretta delle cose, io ho avuto molte esperienze mistiche sin dagli anni Settanta”.
Georges Ivanovic Gurdjieff gli ha cambiato la vita, il filosofo armeno che ha ispirato il suo album più celebre e la ricerca di quel “centro di gravità permanente” necessario quando si è smarriti e le emozioni finiscono in balia dei venti.
“Si ha paura della morte ma in realtà – disse il musicista – con la morte ci si libera da paure, abitudini, illusioni di cui si resta prigionieri”.
Così sulla sua strada Battiato ha incrociato “programmi demenziali” e compreso “com’è misera la vita negli abusi di potere”, la sua rettitudine detestava i soprusi e il vil denaro.
L’indignazione contro la volgarità del tempo è stata spesso al centro dei suoi testi. “La voce del padrone” nel 1981 fu il primo album a superare il milione di copie vendute in Italia, “Povera patria” affresco impietoso dell’Italia di Tangentopoli.
L’ira ha trovato contrappeso nella meditazione. “Dice Gurdjieff: il tempo è prezioso, non sprecarlo per cose che non siano in rapporto con la tua meta”. Era un proletario dello spirito, così si definì. E dunque la sua breve esperienza da assessore in Sicilia, che non chiese compenso, non poteva che concludersi con le sue dimissioni. “Queste troie che si trovano in Parlamento farebbero qualsiasi cosa, dovrebbero aprire un casino”. Si aprì il cielo.
Da tempo Battiato aveva imparato a ordinare il disordine. “A non disperdermi, le sofferenze dovrebbero indurci ad abbandonare l’ego, che chiude la strada del ritorno alla nostra natura divina”.
Stimava Lucio Dalla, suo vicino di casa a Milo per anni. E Fabrizio De Andrè, quando eseguì La canzone dell’amore perduto, la commozione gli impedì di arrivare fino in fondo.
In Italia è partita la solita sgomitata dietro al carro funebre, Matteo Salvini che lo definì “un piccolo uomo” oggi lo ricorda come un “grande Maestro”. E mentre i media s’affannano a scoprire la causa misteriosa della sua morte, Battiato è già altrove.

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