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Gianni Brera, il più grande dei giornalisti sportivi

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Per Riva s’inventò quel soprannome epico, Rombo di tuono. E Rivera “cosi dotato di stile da apparir manierato e qualche volta finto”, fu tra i bersagli illustri della sua penna, intinta nell’umanesimo e nel dono naturale del racconto. Gianni Brera talvolta faceva arrabbiare e forse anche per questo è stato il più grande giornalista sportivo.

Mio padre tornava a casa con la consueta pila di giornali e si nutriva del suo stile quasi come delle arguzie di Umberto Eco, il quale ironico definii Brera “un Gadda spiegato al popolo” e Brera gli rispose alla sua maniera, arguta. Il suo ricordo a 30 dalla morte riemerge più vivido nel giorno del funerale di Mario Sconcerti che lo volle nella fortissima squadra sportiva di Repubblica.

Gli piaceva ricordare d’esser nato sulla riva sinistra del Po, che dovette abbandonare insieme agli studi in Scienze Politiche e ai primi articoli sul Guerin Sportivo per andare in guerra come paracadutista. E dal fronte spiccarono il volo memorabili scritti per piccoli giornali, sotto quel controllo del regime che gli creò molto disagio. L’antifascismo di Brera esplose l’8 settembre, che poi era il giorno in cui era nato. A Milano si unìsce alla Resistenza e consegna ai partigiani un soldato della Wehrmacht, racconterà dopo la liberazione con amaro orgoglio di non aver mai sparato al nemico.

Tra il ’42 e ’43 perde il papà e la mamma, si laurea, si sposa e perde il primo figlio di sei mesi. Tutto sarà per sempre. Anche la passione per l’Atletica leggera che in tempo di pace la Gazzetta dello Sport gli affida e lo stile Brera compie un salto triplo quando inizia a studiare i gesti del corpo e a raccontare la grandezza degli atleti. “Mettete tutti gli assi che conoscete in negativo, poneteli uno sull’altro: stampate: esce una faccia nera, non cafra: un par di cosce ipertrofiche e un tronco nel quale stanno due polmoni e un cuore perfetti: è Pelé”.
Oggi il linguaggio sportivo si nutre del vocabolario inventato da Brera: contropiede, goleador, traversone, prodezza, melina, libero (il difensore senza compiti di marcatura), centravanti atipico, Derby d’Italia (Juve-Inter). Il gioco all’italiana è farina della sua convinzione che le caratteristiche sportive di una nazione dipendano dalla sua storia etnica, per cui i nordici più grintosi e forti sono portati all’attacco e i mediterranei più gracili all’astuzia e alla difesa. L’Italia è cosi per Brera una “squadra femmina” e difesa e contropiede le armi naturali del nostro football.

“Il mio idolo era Beppe Viola ma Brera era il Pelé dei giornalisti” ha ricordato Altafini, calciatore e poi commentatore che con Brera ha scritto un libro e incassato il soprannome “Conileone”.
I neologismi, un romanzo a parte. Se Riva dopo una grande partita a San Siro il 25 ottobre 1970 diventa “Rombo di Tuono”, Boninsegna che gli ricordava l’agilissimo nano Bagonghi del circo Togni, è ancora oggi “Bonimba”, Causio “il Barone”, Bettega “Penna bianca”, Facchetti “Giacinto Magno”, Maradona “Sgorbio divino”. “Peppinoeu”, era Beppe Viola, suo caro amico come Gianni Mura.

Lionel Messi aveva cinque anni quando il 19 dicembre 1992 Brera tornava da una cena di rito con tre amici e un’auto in direzione opposta sbandò e si schiantò sulla sua. Mori sul colpo insieme ai suoi compagni di viaggio. Quando un’anima buona lasciava questo mondo, il suo ricordo si chiudeva con una carezza: “Che la terra ti sia lieve”.
(Ferruccio)

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2 Commenti

Marco 29 Dicembre 2022 - 19:28

Eh, ricordo bene Gianni Brera e i suoi giudizi sul calcio, erano talmente noti e diffusi da diventare a volte dei veri e propri luoghi comuni, e non sempre li condividevo, o perlomeno non ne condividevo il senso di giudizi di valore che frequentemente veniva loro dato dalla gente che li citava… Ad esempio, la valutazione dell’Italia (e dell’Inter, anche, fin dai tempi di Herrera) come squadra “femmina” portava molto spesso queste persone ad attribuire un certo senso di inferiorità ai moduli e sistemi di gioco che vi si connettevano, come il catenaccio e contropiede, parole che tuttora conservano quasi sempre una certa connotazione negativa, per non dire spregiativa, in chi li usa, come conseguenza di un giudizio di valore che li colloca su un gradino inferiore rispetto al “bel calcio” via via espresso dal gioco d’attacco, dal “calcio totale”, dal c.d. tiki-taka, ecc. Io non ho mai condiviso tali valutazioni e non so se Brera si rendesse pienamente conto di tutte le implicazioni di ciò che scriveva, forse non fino in fondo, anche se non credo che lui attribuisse un tale senso implicito alle valutazioni tecniche sul calcio che faceva, visto che non era certamente un esteta del calcio (per fortuna…); del resto, espresse anche giudizi che condividevo pienamente, come la preferenza per Mazzola rispetto a Rivera, che aveva soprannominato “abatino”, nel contesto della Nazionale del 1970. Quanto ai nomignoli, aggiungo alla tua lista soltanto quelli che aveva inventato per distinguere Helenio da Heriberto Herrera, ribattezzando “Accaccone” (cioè H.H. maggiore) il primo e “Accacchino”(cioè H.H. minore) il secondo: geniale, quando ci penso mi viene ancora oggi da ridere…

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Marco 2 Gennaio 2023 - 11:53

Aggiungo che, anche se, come ho detto, credo che le sue valutazioni su moduli e sistemi di gioco fossero esclusivamente tecniche e non connesse a giudizi di valore, anche dal punto di vista strettamente tecnico Brera prese delle cantonate non da poco nella sua carriera: ricordo ad esempio quando definì il giovane Platini “un bidone”, aggiungendo che era molto meglio Adelio Moro; o quando, all’inizio del mondiale 1982, proclamò che se l’Italia l’avesse vinto, lui sarebbe andato a piedi e vestito da penitente da casa sua fino a un noto santuario lombardo (cosa che poi effettivamente fece); ricordo infine la sua ostilità, che non condividevo affatto, verso l’interista Beccalossi, anche quando giocava veramente bene negli anni dal ’79 all’ ’82, legata probabilmente all’insofferenza generale che nutriva verso i calciatori “di classe” ma non forti fisicamente o gladiatori (chissà che avrebbe detto di Messi…). Nonostante questo, mi faceva sempre piacere leggere i suoi articoli, che si elevavano certamente ad un livello ben più alto di quello della media dei giornalisti sportivi…

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