Un omino con il cuore grande come l’Izoard. Il cuore grande di Fausto Coppi si spense il 2 gennaio 1960 per una malaria non diagnosticata. Tanti giovani non sanno, tanti vecchi si commuovono. Tace la leggenda, chiusa in una pagina terribile strappata all’ignoranza dei nostri i giorni che speculerebbe per secoli su una banale storia di negligenza medica. Che ha portato via uno dei più grandi atleti di tutti i tempi.
Coppi contrasse la malaria una prima volta quando fu spedito in guerra sul fronte africano ma guarì senza problemi grazie al chinino, ricavato delle piante delle Ande e adoperato dagli spagnoli nel ‘600 per curare la malattia. Tornò in Africa nella colonia francese Alto Volta, per una gara non competitiva disputata il 13 dicembre 1959 con alcuni ciclisti francesi, tra cui il suo caro amico Raphaël Géminiani, con cui divideva la stanza nell’accampamento. La notte seguita alla gara furono assaliti dalle zanzare e tornati in Italia, una settimana dopo si telefonarono, entrambi con sintomi di febbre.
L’amico perse conoscenza, la moglie allertò subito un esperto di patologie tropicali che diagnosticò la presenza nel sangue dei protozoi responsabili della forma più grave di malaria, il chinino lo salverà dopo un lungo coma. Géminiani oggi ha 97 anni.
Non andrà cosi per il povero Coppi, con 40 di febbre gli fu diagnosticata l’influenza asiatica. Lui se ne andò in giro, ma pochi giorni dopo il 27 dicembre accusò nuovi sintomi, brividi, nausea, febbre, i medici non ci capirono granché e gli somministrarono antibiotici e cortisonici, senza effetto. Entrò in coma la notte tra il 1 e 2 gennaio, morì alle 8.45.
A nulla valsero le segnalazioni sulla malaria dei congiunti di Géminiani ai medici che avevano in cura Coppi, la supponenza costò la vita al grande ciclista. Bastava il chinino, appresi il dramma di Coppi da mio padre, medico sbucato da un pianeta che non c’è più, dove lo stetoscopio era usato per sentire il respiro e il cuore per ascoltare l’anima. Mi sussurrò della tragedia del Campionissimo a 80 anni, con la commozione strozzata nell’impotenza.
Nel giorno in cui Fausto Coppi moriva a soli 40 anni, il 2 gennaio 1960 mio padre Dario ne compiva 29, pochi mesi dopo si laureava in Medicina mentre quella terra africana fatale alla leggenda italiana conquistava l’indipendenza e diventava una ex colonia.
I ricordi sono un privilegio, talvolta doloroso e tra pipe e ricordi di famiglia, in un mobile di legno, Dario ha tenuto conservata questa foto di Coppi, come di un amico perduto. E’ stata sempre li, poggiata in mezzo al kit di garze, siringhe e medicine.
(Ferruccio)
“Occhi miti e il naso che divide il vento, occhi neri e seri guardano il pavé…” la canzone che Gino Paoli ha dedicato a Fausto Coppi, in questo toccante video, che consiglio a tutti.