Un giorno bussarono alla sua porta i carabinieri. “Gentile professore, scriverebbe dei versi per una lapide in ricordo dei 14 militari trucidati dai nazisti a Teverola?”. Aldo De Gioia si ritirò in silenzio e onorò quelle anime salve.
Aldo venne alla luce nel cuore buio e antico di Napoli, l’Anticaglia, figlio unico e di madre vedova. Sulla sua infanzia caddero solo bombe e l’anima dello storico fiorì tra le macerie. A vent’anni gli cadde la stella. “Somigliava a Audrey Hepburn e in due settimane se la portò via la leucemia”. Cosi l’unico matrimonio della sua vita è stato con la millenaria Storia di Napoli.
La insegnava a chiunque glielo chiedesse, con l’unica ricompensa di poterla divulgare. Un giorno mi chiamò: “Ti devo raccontare Ferruccio, ho portato Isabella Rossellini dentro Napoli sotterranea”.
Il dramma della guerra è stato il ricordo di una vita, nove anni fa mi rivelò quelli più segreti. L’esplosione della nave “Caterina Costa” nel porto di Napoli il 26 marzo 1943, “non fu un incidente come riportato dai documenti ma un attentato”. Morirono 600 persone, il Maschio Angioino porta ancora segni. La sua fonte era Vincenzo Ingangi, avvocato a capo del movimento comunista a Napoli e amico di Umberto Terracini, uno dei fondatori del Pci.
“Ingangi mi parlò di quattro sabotatori, a guerra finita uno si avvelenò a Posillipo, un altro si sparò a piazza dei Martiri, un partigiano di cui si perse traccia, il quarto mi indicò un italo americano diventato celebre in Italia nel mondo dello spettacolo”.
Aldo conobbe l’avvocato Ingangi quando a 18 anni, nel ’52, andava nel suo studio a piazza Borsa, dove lavorava sua cugina. “Non mi disse tutto quello che sapeva”.
Gli raccontò delle Quattro giornate, dei tedeschi da giorni in ritirata sulla linea Gustav e “che in città restavano non più di mille soldati, benché armati fino a i denti”. E di Tommaso Buscetta, 15 enne tra le barricate”. Pubblicai le sue rivelazioni su Repubblica nel febbraio 2015.
(https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/02/01/aldo-de-gioia-il-boss-buscetta-fu-tra-le-barricate-delle-4-giornateNapoli09.html)
Buscetta in persona, boss pentito, raccontò nel ’92 in un’intervista su Repubblica di Eugenio Scalfari e Giuseppe D’Avanzo dopo gli attentati a Falcone e Borsellino di esser “diventato mafioso facendo la Resistenza a Napoli…Partimmo da Palermo, eravamo in tanti…ero lì per difendere la mia Italia e in odio ai tedeschi”. Al ritorno in Sicilia fu reclutato e da patriota divenne poi separatista.
La notizia è rimasta sottotraccia e le parole del boss dei due mondi andavano pesate, ma Aldo De Gioia mi riferi che apprese da Ingangi che Buscetta sarebbe stato davvero imbarcato su nave o sommergibile e diversi partigiani confermarono poi la sua presenza in città.
Sulle barricate delle quattro giornate morirono centinaia di persone, 25 mila sotto i bombardamenti del ’42-’43, per De Gioia il valore dell’insurrezione “non fu aver cacciato i nazisti ma aver salvato Napoli dalla distruzione totale minacciata da Hitler”.
Nel ’43 Aldo aveva 9 anni. “Sei innocenti marinai furono trucidati, ricordo il terrore tra la gente per le esecuzioni dei nazisti dopo l’8 settembre”. Il 12 settembre i tedeschi costrinsero centinaia di persone a assistere e applaudire alla fucilazione di un marinaio sulle scale dell’università, il bambino Aldo era per strada.
Agli ultimi istanti di quel ragazzo rimasto ignoto per 65 anni, De Gioia ha dedicato una poesia, è su una lapide al porto: “Dateme mamma mia, nun m’accedite…”. Si chiamava Andrea Mansi, era di Ravello.
Dopo la guerra Aldo ha rischiato di morire sotto al tram di Mergellina a 12 anni e per ringraziare la sua stella ha fatto il barelliere per i malati poveri in 30 viaggi a Lourdes. Pedagogo, storico e soprattutto poeta, suoi versi sono incisi anche nel sacrario di El Alamein e nel museo di New York per i deportati di Auschwitz.
Lo conobbi quando nel ’98 la città sembrava volesse finalmente dedicare un museo a Enrico Caruso, il museo non si è mai visto perché a Napoli i figli più generosi trovano riconoscenza altrove. E allora per realizzare un piccolo tributo al grande tenore, il professore emigrò in un paesino sperduto della Basilicata, Calvello.
Aldo se n’è andato il 24 febbraio 2020, pochi giorni prima della pandemia. Un signore, fino alla fine: “Vedi amico mio, io vivo solo, con una timida pensione, sono un cattolico di sinistra da sempre lontano dalle consorterie in una città che ha disperato bisogno dei napoletani, ma quelli di settant’anni fa”.
(nella foto: Aldo De Gioia e l’esplosione il 7 ottobre ’43 delle bombe a orologeria messe dai nazisti alle Poste che causò 30 morti e 84 feriti)