Nell’Iran di Khomeini e Khamenei si muore ammazzati da 44 anni dalla “polizia morale”e dai pasdaran del regime disumano dei mullah ma sembra che nel mondo si aspetti il clamore per alzare lo sguardo. Come un anno fa. Mahsa Amini 23 enne curda in vacanza a Teheran fu arrestata il 14 settembre perché non copriva bene il capo e pestata a sangue, due giorni dopo chiuse gli occhi per sempre e il mondo li apri sulla rivolta che divampava nello stato islamico.
Che da un anno non si è mai placata: almeno 500 persone condannate a morte dall’inizio del 2023 di cui tante impiccate a una gru, 750 manifestanti uccisi di cui 687 identificati solo grazie alla rete interna della resistenza che ha la sua roccaforte nei mujaheddin, partigiani laici sparsi ovunque, 30 mila arresti in 300 città, centinaia di persone accecate con rose di proiettili, 5 mila studentesse avvelenate.
Per il “Consiglio nazionale della resistenza iraniana” ma anche per Iran Human Rights e Amnesty International le vittime sono molte di più. E tra queste i desaparecidos, gente scomparsa come ai tempi di Pinochet e dei generali fascisti d’Argentina. Le accuse fanatiche e grottesche: “corruzione sulla Terra”, aver ingaggiato “guerra contro Dio” e naturalmente essere mal velate.
Muore chi ha il coraggio del futuro, i giovanissimi. Manifestano a fianco di donne e studenti, anche di venerdì, per sfidare la teocrazia senza tregua: voi pregate noi protestiamo. Nonostante la sanguinaria repressione i nuclei rivoluzionari si stanno moltiplicando, abbattere il fanatismo religioso è un punto di non ritorno, benché lo scacco agli ayatollah costi la vita o anni di carcere.
Sara Khadem (nella foto), quattro Olimpiadi di scacchi, si presentò ai Mondiali lo scorso dicembre senza velo e non è più potuta tornare a casa, oggi vive in Spagna. Era destinata come Mohammad Javad Vafa’i Thani, campione di pugilato simpatizzante dell’organizzazione dei Mojahedin del popolo dell’Iran e condannato a morte il 19 luglio scorso dopo lunghe torture.
Milioni di esuli iraniani sono sparsi nel mondo. Uno di questi Abbas Pishbin, nel 1979 arrivò in Italia. La figlia Virginia, nata a Sassari, è presidente dell’associazione dei giovani iraniani residenti in Italia.
“Lo stato islamico iraniano si è macchiato di 400 attentati per colpire la resistenza ovunque – racconta Virginia – e mi sorprende che il mondo si stia accorgendo solo adesso del male perpetrato al nostro popolo, migliaia di giovani, tra i quali tantissimi minorenni, che stanno perdendo la vita”.
Virginia è un medico di 41 anni, un fiume in piena indignazione. “Noi lottiamo per la libertà ma sa qual è il nostro grande problema, è l’odiosa politica di accondiscendenza dei governi occidentali verso il regime criminale iraniano che tiene in ostaggio 80 milioni di esseri umani. Per soldi, tanto per cambiare.
La Germania che stipula accordi per vendere telecamere che la polizia iraniana usa per identificare le persone, gli americani che scambiavano un buon prezzo del petrolio con il riconoscimento dei Mojahedin del popolo come cellule terroristiche, un’assurdità tanto che Hillary Clinton dovette fare marcia indietro. E non parliamo delle migliaia di droni che l’Iran ha venduto a Putin per colpire il popolo ucraino che è sempre con noi in piazza”.
Che fare? “Il Consiglio di sicurezza dell’Onu deve isolare Khamenei e il presidente Raisi conosciuto come il macellaio di Teheran, quello che istituì la commissione della morte che nel 1988 in due mesi uccise 30 mila persone, donne incinte, bambini, come si fa a far finta di niente con chi si macchia di crimini da quattro decenni?”.
Oltre quattro decenni fa, libertà democratiche in Iran neanche col binocolo ma il regime monarchico dello scià assicurava qualche larvata modernizzazione e non obbligava al velo. La svolta fondamentalista di Khomeini portò il Paese dalla padella alla brace. L’introduzione dell’obbligo del velo è stata solo la punta di una repressione che puniva le donne con 74 frustate, con il carcere e fino alla morte.
In quegli anni, nel 1989, diventai amico di Assan, studente di Medicina in Italia. Mi confidò di aver combattuto ragazzino nella guerra Iran-Iraq (1980-88), restò chiuso nel suo silenzio e io non gli chiesi mai niente. Si racconta tra i mujaheddin che gli studenti che tornano in Iran per le vacanze non possano essere attivisti per la libertà, non li farebbero ripartire, anzi qualcuno potrebbe essere una spia del regime all’estero.
Assan non era nessuna delle due cose ma compresi la sua distanza dal sanguinario governo islamico quando nell’estate del ’90 mi spedì una cartolina con tre simboliche parole: saluti dalla Persia.
1 Commenti
Questa bellissima ma tragica narrazione ci evidenzia l’egoismo dei governi che fanno poco o nulla per isolare Paesi come l’Iran o Myanmar che torturano e trucidano i propri cittadini semplicemente alla ricerca di democrazia e liberta’.
Fa bene Ferruccio a scrivere su queste malvagita’.