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“La finta che sbilancia Maier”. Gianni Rivera piede e pallone d’oro

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Il più grande del Milan, nell’olimpo del football. Il primo italiano a vincere il Pallone d’oro in quel ’69 che laureò il Diavolo Campione d’Europa la seconda volta, contro l’Aiax di un giovanissimo Cruijff. Ma il destino di Gianni Rivera si è compiuto dove la Storia si scrive con gesti d’autore, all’Azteca di Città del Messico.

Non avesse segnato di piatto destro, il suo piede magico, un rigore in movimento (diremmo oggi) sul grande assist di Boninsegna, Rivera sarebbe finito nella tagliola di chi soffiava sulla artificiosa rivalità con Mazzola e infilzato senza appello dalla penna di Gianni Brera. Ma la finta spiazzò Maier e Italia-Germania 4-3 è patrimonio dell’umanità.

La notte del 17 giugno 1970, avevo quasi 5 anni, mia madre la serena rassegnazione di vedermi sveglio alle 2 di notte già cosi piccolo, mio padre felice dei figli davanti alla tv come matrioska. Dopo l’epica semifinale mia sorella, 14 anni, preparò la finale contro il Brasile di Pelé con una bandierina tricolore fatta in casa, un foglio di quaderno colorato attaccato a una matita, semplicità perduta.

Il “golden boy”, è rimasto legato ai rossoneri fino alla fine del cielo, la stella del ’79 l’ultimo premio. Raggiunta con qualche anno di ritardo, secondo Rivera. Già perché se l’uomo Gianni “nato vecchio e senza emozioni” disse di se stesso, non è mai stato campione di simpatia, neanche verso i suoi colleghi, aveva però la virtù, rara a quei tempi, di dire quel che pensava.

Così nel ’72 urlò al sistema che la stella gli fu soffiata da un complotto e si beccò nove giornate di squalifica. Il Milan perse lo scudetto a vantaggio della Juventus. Il mondiale del ’74 segnò il suo tramonto in Nazionale.

Dopo il pallone Rivera si è buttato in politica, da idolo onorato a onorevole, ha sfidato e perso contro il presidente del Milan Berlusconi e gridato a un altro complotto, sul Covid. Autogol di un fuoriclasse. Un’altra vita, e oggi sono 80.

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