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“La morte non esiste”. Il mondo antico di Marcello Gigante, umanista grande e dimenticato

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“Solo chi ha un brutto carattere ha carattere” rispondeva Marcello Gigante a burocrati e leccapiedi di cui si sentiva un fiero nemico. Anima schiva e riservata, personalità spigolosa, il suo pudore resisteva anche in famiglia, quando alla moglie sussurrava che “i figli si baciano solo quando dormono”, incassando la reazione contraria di lei:”Cosi non lo sapranno mai”.

E cosi i suoi amici erano soprattutto Epicuro e Filodemo e le sue dame le antiche carte greche amate e studiate per una vita: i Papiri, ritrovati a Ercolano nel ‘700 e oggi conservati in suo nome nella Biblioteca Nazionale di Napoli.
Marcello Gigante è tra i grandi umanisti del ‘900, autore di oltre settecento titoli dedicati a filosofi e poeti greci e latini, nessuno tra i contemporanei ha spaziato con la sua profondità da Omero a Bisanzio, sul sentiero dei grandi filologi tedeschi dell’Ottocento. Ma chi se ne ricorda, neanche cent’anni dopo.

Nacque a Buccino il 20 gennaio 1923, in una terra aspra e di confine, più Basilicata che Campania, dove il futuro inciampa nella desolazione di un borgo come Romagnano al Monte, rimasto senza abitanti dal terremoto dell’80 che Stramp ha raccontato in questo reportage

Il paese senza abitanti, dal 23 novembre 1980

Nel suo paese gli hanno intitolato un museo, è rimasto chiuso per anni senza soldi né personale. Sono andato a vederlo a ottobre, racconta una scoperta nata da una tragedia: l’antica Volcei di età romana e preromana rinvenuta sotto le macerie del sisma 1980, proprio nel cuore di Buccino. Cosa rara in Italia.

Ci tornava due settimane l’anno, il 9 gennaio di tanti anni fa per ringraziare della cittadinanza onoraria, disse parole bellissime. “Il paese natio è l’aria di cui abbiamo bisogno fino alla morte, ma è soprattutto il confine, il limite, la frontiera che dobbiamo superare…l’invito ad andare verso il mondo, a viaggiare nell’universo, ad amare la conoscenza, la scienza in qualsiasi forma a noi piaccia”.

Il viaggio lo ha portato a vivere a Trieste e Napoli, città adottive. Gigante rivendicava origini contadine ma la mamma gli ricordava, con affetto, che le sue mani erano affondate solo nei libri. L’adolescenza del resto restituiva già frammenti del letterato rigoroso quando i suoi amichetti gli attribuirono l’amore per una ragazzina. Figurarsi, il giovane Marcello studiò come un forsennato due anni in uno, IV e V ginnasio per dimostrare ai compagni che i suoi occhi erano solo per i libri. Non andò sempre cosi.

Valeria Lanzara, allieva affascinata dal magnetismo del filologo, riuscì a fare breccia sul maestro. “Lo perseguitavo e lui si faceva perseguitare volentieri…” si sposarono, dopo la laurea di lei nel 1960. Quattro figli cresciuti insieme ai libri ma il secondo, Mauro, fermato a 7 anni da una malattia impietosa. Nel quinto anniversario della morte del figliolo Gigante gli dedicò “L’ultima tunica”, lucida e dolorosa riflessione sulla fragilità della vita attraverso la lettura di testi antichi.

Un grande umanista era inevitabile incontrasse lungo il cammino il disincanto e il dolore di Giacomo Leopardi, ma Gigante non fece in tempo a pubblicare i suoi “dialoghi” col poeta di Recanati. Ci pensò il quarto figlio Claudio a compiere la volontà del padre: “Leopardi e l’antico” (editore Il Mulino).

Lo conobbi alla fine del ‘900, il suo crepuscolo. Mi accolse nella sua casa biblioteca e nelle sue grazie, miracolo dell’empatia. Il dito alzato, il passo introverso e il dono della parola, Marcello Gigante era cosi immerso nel mondo antico che quando saliva in cattedra, con voce sicura e senza mai darsi arie, poteva raccontare e raccontare per ore.

Dentro il guscio c’era un uomo timido e buono, a suo agio con Epicuro, il filosofo greco che citava spesso nelle riflessioni sulla vita.”Vedi Ferruccio la morte non esiste, perché finché ci siamo noi non c’è lei e quando c’è lei non ci siamo più noi”. Credo fu l’ultima cosa che ascoltai da lui prima del 23 novembre 2001, giorno in cui morì a 78 anni.

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