Il cervo ha provato a rialzarsi. Ha fatto due passetti ma è crollato su se stesso al centro della strada. Dietro era divorato dai morsi dei lupi. Erano le 22.50 di sabato 24 giugno quando percorrevo la strada della Camosciara da Villetta Barrea al bivio per Opi. In quel punto, hanno raccontato le guardie del Parco d’Abruzzo, i lupi costringono talvolta i cervi a cadere dal dirupo e poi lo attaccano. Questo maschio adulto, bellissimo, aveva una stanga spezzata e una gamba piegata, la ferita fatale all’interno della coscia da cui ha perso troppo sangue.
In auto siamo in due, vedo il cervo sul ciglio della strada e davanti a me una macchina ferma, faccio amicizia con un signore romano, collabora col Parco, ci affidiamo a Pasqualino, la guardia che entrambi conosciamo e che mi risponde di aver messo in moto i soccorsi.
Nell’attesa è accaduto di tutto. Auto che si fermavano, qualche foto e ripartivano. Da una di queste è scesa una donna, pare una guida turistica del posto, tutta agitata ha chiesto se qualcuno avesse investito il cervo e al no ha gridato che erano stati i lupi e sarebbero tornati a sbranarlo. “E’ la natura, dobbiamo andar via”, tutti i presenti son saliti in macchina per dileguarsi, indifferenti anche al rischio di un incidente con il cervo in mezzo alla strada.
Restiamo solo noi, con l’auto di quel signore, per scoraggiare i lupi e evitare incidenti ci mettiamo a scudo del cervo, i fari accesi. Guardiamo impotenti gli occhi sofferenti dell’animale. I primi a arrivare sono i carabinieri, subito dopo le guardie del parco. Si aspetta il medico veterinario.
In una notte fredda diventata pure angosciosa ci sarebbe spazio solo per gesti d’umana pietà, invece da uno dei militari dell’Arma spunta l’anima del burocrate in divisa. Contrariato da qualche foto e video fatte dai testimoni, decide di prendersela con me. “La deferisco se mi riprende”, gli dico che lui non si vede affatto nelle immagini. Riesco a malapena a spiegare che sto facendo un’opera buona, che sono un giornalista e ho chiamato io il Parco per aiutare l’animale. Risposta: “Mi dia un documento”.
Non è finita. Dopo circa un’ora arriva il veterinario, un’iniezione per sedare il cervo prima di trasferirlo nell’istituto e sussurrare che non ce l’avrebbe fatta, l’eutanasia se lo sarebbe portato via. A quel punto decido di andarmene, tre chilometri più avanti faccio inversione e quando ripasso noto un’utilitaria bianca incollata a quella dei carabinieri e un anziano alla guida, vengo a sapere che il vecchio era mezzo ubriaco e aveva tamponato l’auto dei militari…
Il buonuomo che con me aveva atteso i soccorsi, sfinito all’una di notte decide che è ora di andar via, ma il militare lo blocca: chiede i documenti pure a lui. Un’amica di Taurasi all’università mi ricordava un detto della sua terra irpina: “Fa’bbuono e muor’acciso”.
Il mattino dopo gli occhi straziati del cervo mi accompagnano dove l’acqua gelida purifica l’anima e il sole di montagna scalda il cuore, quando vedo un altro bellissimo esemplare a spasso lungo il fiume, spensierato e gioioso, pieno di vita.