“Negli anni di governo ho portato la croce e non ho potuto cantare…”, il Cavaliere confidava il suo cruccio come un refrain qua e là dietro le quinte del suo tour quotidiano per radio e tivù, quando era presidente del consiglio. Eppure il tempo per cantare durante i mandati a Palazzo Chigi, Silvio Berlusconi lo aveva trovato eccome.
“Meglio ‘na canzone”, il cd realizzato a braccetto con l’ex posteggiatore Mariano Apicella nel 2003, entrava nella sua agenda quasi come una legge sul falso in bilancio o sulla rogatoria internazionale. E il capo del governo chiamava arrangiatori e musicisti più volte al giorno per tentare di aggiustare, lui milanese di Arcore, il vernacolo napoletano, meglio di una legge ad personam.
Tra artisti come Renato Serio, Maurizio Pica, Adriano Pennino rimbalzavano con stupore le chiamate del premier, durante le prove. E nonostante Pil e economia perdessero colpi, il Berlusca non perdeva mai il buonumore e accusava di pessimismo la sinistra.
Nemmeno quando, indossato l’abito dello chansonnier, scivolava sulla solita promessa fatta a un italiano. Stavolta la steccata aveva colpito Rino Giglio, autore di brani anche per Roberto Murolo e Peppino di Capri, paroliere e poeta che con Berlusconi aveva scritto a quattro mani cinque testi di quel cd. Ma quando andava in tv a parlare di leggi e canzoni, il Cavaliere se ne dimenticava, attribuendosi la paternità esclusiva dei testi.
Giglio deluso minacciò azioni sul diritto d’autore e la sua protesta finì proprio su Striscia la notizia a Canale 5, una tv del Cavaliere. Scoppiò un casino. Per riparare a quella defaillance il premier lo mandò a chiamare a Palazzo Grazioli.
Rino Giglio era nato a Ancona ma Napoli era la sua città e nel suo quartiere, l’Arenella, lo incontrai il 17 settembre 2009, durante il quarto e ultimo mandato di Berlusconi premier. “Quando mi invitò nel suo ufficio romano – mi raccontò – tra cornici di famiglia in oro e argento mi promise che mi avrebbe fatto entrare nel suo entourage. Ma non accadde. Se penso che Apicella, ex posteggiatore, è la sua ombra e io che gli ho passato i testi delle canzoni invece…”.
Il poeta e paroliere aveva l’animo ferito e in un primo tempo pensò di cantargliele, al Cavaliere. “Mi consento” doveva essere il suo graffio d’autore, brano che parafrasava con ironia una celebre espressione di Berlusconi. La rabbia dell’artista è poi sbollita e il brano è rimasto nel cassetto.
Un giorno il leader di Forza Italia gli confidò: “Sai Giglio, io da ragazzo volevo fare il cantante ma solo ora però me lo posso permettere…”.
Rino Giglio si è spento quattro anni fa, il riconoscimento pubblico da Berlusconi non l’ha mai avuto. Ma le canzoni scritte con l’ex premier portano anche la sua firma.
(Ferruccio)