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“Quel che sono l’ho voluto io”, grazie Lucio

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“Anna avrebbe voluto morire, Marco voleva andarsene lontano…qualcuno li ha visti tornare tenendosi per mano”. Lucio Dalla riusciva a esprimere la tragedia umana e il senso della vita in una sola rima, con l’umanità degli antichi greci. La sua esistenza è stata epica, ingiusta nel finale per chi gli ha voluto cosi bene, non per la sua sensibilità d’un altro mondo. “Lucio spiccava il volo in ogni cosa che faceva, nel giorno in cui morì non ho mai capito se in fondo se ne fosse voluto andare già da un po’” ha raccontato Ron, che meglio di tutti forse lo ha conosciuto.

La fede e l’amore i suoi unici punti fermi, ricorrono nei suoi capolavori, come l’angoscia e l’inquietudine. “Sono cristiano, credo fortemente nell’amore assoluto e nella possibilità dell’uomo di riscattarsi. Non combatto niente, se non la stupidità e la falsità”.

In una intervista del 28 maggio 1983: “La mia è una cultura americana, europea ma mi piace vedere le cose che non conosco, sono terzomondista…uno che non si annoia quasi mai, anche quando mi fanno aspettare agli appuntamenti non dico mai “accidenti”, perché mentre aspetto le cose intanto si muovono…”.

Il mondo di Dalla è continuo divenire e alle prime canzoni di protesta ha preferito negli anni quelle di proposta, che parlassero dei problemi reali, quotidiani, esser comunista per lui significava questo, “non avere la tessera del Pci, ma come ti comporti sul lavoro, come tratti la tua donna, gli amici”. Libero dalle prigioni ideologiche, “il privato e il personale sono cose serie, esistono, eccome”, diffidava del potere. “La Chiesa non sempre corrisponde al messaggio di Cristo, un papa che va in Africa e dice di non usare i preservativi è una cosa folle”.

Le sue canzoni hanno anticipato i tempi. “Sono per l’uguaglianza ma non quella che ci vuole tutti consumatori passivi”. Il Grande fratello “mai visto una puntata, demenziale come X Factor e Amici”. Dalla, lo sa che al suo funerale ci saranno i politici, gli chiesero due anni prima di morire, lui dischiuse quel sorriso dolce e amaro, “mi dà una buona ragione per non morire mai”.

Colto, umile, non voleva passare per poeta.”Se c’è una cosa che io non amo è l’aspetto demagogico del cantante che dice delle grandi verità, ecco io non ho mai cercato di dire la parola finale, il protagonista delle mie storie non sono io ma gli altri”. Cosi distante da tutti i colleghi, compreso l’amico De Gregori, il quale durante il celebre tour Banana Republic confessò di aver sofferto l’entusiasmo del pubblico, quasi tutto per Lucio.

“Cerco di capire perché la gente mi vuole bene, e sento il dovere di indignarmi per problemi che riguardano più loro che me. Mi emoziona la vita, ma in fondo sono nato per essere solo…
Amo il mare, ho sempre avuto il fascino per la vita del mare, sono convinto che i pesci non sono muti, ma parlano, io sono convinto che si amano, finché ci sarà il mare ci saremo ancora”.

Banana Republic, lunedì 2 luglio 1979, avevo da poco ammazzato la varicella, la malattia più fastidiosa che s’attacchi a un essere umano, dopo la tirchieria e la falsità. Allo stadio San Paolo di Napoli, città che amava quasi come la sua Bologna, Lucio Dalla, con De Gregori e 60 mila persone, fu il premio alla guarigione e il regalo ai miei 14 anni compiuti mentre a mezzanotte tornavo a casa, con Anna e Marco nel cuore.

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